WEEK END

Week end

“Week-end”, scritto nel 1983, è l’ultimo testo della trilogia (assieme a “Notturno di donna con ospiti” e “Le cinque rose di Jennifer”) che Annibale Ruccello definiva Teatro da Camera. È, come in altri suoi testi, ancora la storia di una solitudine, di uno spaesamento, di uno sradicamento culturale che si trasforma nel corso della vicenda in un’alienazione che ha dunque radici nel sociale oltre che nel privato. Storia che vive di una affascinante miscuglio di quotidianità, di rimembranze e di pulsioni inconsce, “Week-end” ci racconta il fine settimana di Ida, un’insegnante quarantenne afflitta da un handicap fisico (una malformazione al piede che la fa zoppicare). La donna abita in una periferia romana ma è originaria di un piccolo paese del napoletano di cui si sente irrimediabilmente orfana. Il Sud da cui proviene però, sebbene in qualche modo agognato nel ricordo, è un Sud a sua volta infelice e mai riscattato, seppur di sapore antico, quasi mitologico. In queste due grigie giornate in cui è compreso l’arco narrativo del testo, Ida impartisce ripetizioni a un goffo studentello, accoglie in casa un giovane idraulico e vive, o crede di vivere, con entrambi gli uomini esperienze sessuali liberatorie ed estreme, con rito sacrificatorio finale.

È una storia al tempo stesso di verità e di rappresentazione che riesce a raggiungere lo spettatore proprio in virtù delle emozioni che mette in gioco e della tecnica drammaturgica costantemente in bilico tra realtà e sogno. Scheda

LOUISE BOURGEOIS

Louise

“L’artista è un lupo solitario. Ulula tutto solo. Il che però non è così terribile, perché lui ha il privilegio di essere in contatto con il proprio inconscio. Sa dare alle sue emozioni una forma, uno stile. Fare arte non è una terapia, è un atto di sopravvivenza. Una garanzia di salute mentale. La certezza che non ti farai del male e che non ucciderai qualcuno”.

Louise Bourgeois era una donna eccezionale, ed è una delle più grandi artiste del secolo. Lucida, folle, anticonvenzionale, rigorosa, geniale, umile, straordinaria interprete del femminile e dell’arte. Segnata fin da bambina dalla violenza, dalla sua estrema sensibilità, temprata da due guerre, infaticabile creatrice di sculture-opere
intense, agghiaccianti, grottesche, rivelatrici, folgoranti. Famosa per i falli che mette sul tetto di casa e con cui si fa fotografare portandoli sotto il braccio come una baguette o un ombrello; per i ragni monumentali, sotto cui ci si sente vulnerabili e allo stesso tempo protetti (“i ragni sono la madre”, diceva Louise); per le ghigliottine che sospende sopra le case borghesi e le vite tranquille che racchiudono. La sua figura è l’emblema di un secolo di turbamenti, inquietudini, ribellioni, desideri, orrori, follie e disperata ricerca di un significato, di verità.

È il prototipo, non convenzionale, dell’Artista, che passa dall’euforia alla depressione, dall’attività frenetica all’immobilismo, dalla creatività alla riflessione. Ed è completamente, sorprendentemente, clamorosamente teatrale. Perché intensa, perché spiazzante, perché disturbante, perché ironica, perché poetica, perché divertente, perché profonda e originale. Lo spettacolo che la racconta mette in scena l’essenza di questo essere strano, al tempo stesso donna, vecchia e bambina.

Dà corpo, matericamente come le sculture da lei create, alla fantasia, le immagini, le voci, i suoni, i pensieri che escono dal profondo di Louise, dalla sua anima. Tasselli che si compongono via via e ci rimandano in modo delicato o prepotente, allusivo o dichiarato la vita di una Donna affascinante, emozionante, totale. E probabilmente irripetibile.
Lo spettacolo ha la durata di 60′. Scheda

ITAGLIANI!

Itagliani

Un’esilarante favola interpretata da Margherita di Rauso, che, con grande vitalità, porta in scena le avventure di Frevella e Cinniccò, coppia partenopea che predisse il futuro ad Hitler. L’azione si svolge nel ’38, all’epoca della visita di Adolf e Benito a Napoli, fra vere esercitazioni di sommergibili e presunte visite esoteriche alla Sibilla Cumana. In tale contesto sono immerse le memorie monologanti, comiche e deliranti di Frevella e Cinnicò, tipica moglie meridionale vessatrice la prima e marito debole e frustrato il secondo. Nel ménage della coppia s’inseriscono la passione antifascista di lui e le crisi mistiche di lei. Queste ultime, pur consentendole di predire il futuro, sono un tallone d’Achille che il coniuge sfrutterà per vendicarsi della consorte e per giocare un tiro ai due odiati dittatori. Ad essi Cinnicò offrirà, ovviamente a pagamento, la profezia dell’imminente disfatta bellica, proferita dalla moglie Frevella all’interno dell’Antro della Sibilla (quasi fossimo in “Indiana Jones”!).

Nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, quando ben poco ci sarebbe da festeggiare (ma molto dovrebbe essere ricordato), la pièce riesce ad incantare, rammentando la storia miserrima di due feroci dittatori e il suo episodio partenopeo, legandolo alla ben più minuta storia di una coppia dal carattere tipico di questa terra. L’intreccio, col tono della favola, divertendo e sdrammatizzando, fa rivivere allo spettatore una pagina di storia altrimenti ben più tragica, legandola ad uno dei più fecondi miti della nostra terra, quello della Sibilla Cumana.

La maniera grottesca e paradossale riesce a strappare più di una risata e a suscitare più di qualche pensiero sul perché due tipacci come Hitler e Mussolini, che già allora avrebbero dovuto apparire a tutti come funeste parodie di se stessi, siano invece riusciti ad arrivare al potere e a portare alla catastrofe il mondo.
Scheda

GIRO DI VITE

Giro di vite

Cosa c’è di più conturbante di una storia di fantasmi in cui sia implicato un bambino? Semplice: una storia di fantasmi con due bambini coinvolti loro malgrado in una spirale senza fine di terrore… Da qui trae spunto il travolgente inizio di una delle storie di fantasmi meglio narrate nella storia di tutti i tempi, con incredibili risvolti di suspense e angosciosissimi dubbi… Luca De Bei, dopo la trasposizione per il palcoscenico di “Un cuore semplice” di Flaubert (con il ruolo della domestica analfabeta Felicité affidato a Maria Paiato), affronta ora l’adattamento per la scena di uno dei racconti più celebri della letteratura del soprannaturale: quel “Giro di vite” di Henry James, perla tra le storie di fantasmi, già portata più volte sullo schermo (tra tutti “Suspence” con Deborah Kerr) e ispiratore anche di una celebre opera lirica con musiche di Benjamin Britten.
Qui la protagonista, istitutrice in una monumentale magione della campagna inglese, racconta la propria storia straordinaria e terribile. I due bambini di cui si deve occupare, infatti, riveleranno presto aspetti inquietanti e faranno nascere nella protagonista il sospetto di essere posseduti dalle anime della ex istitutrice e del cameriere personale del padrone, entrambi defunti dopo una vita di licenziosità e abusi su quelle stesse creature.

L’intera vita della donna sarà quindi dedicata all’intento quasi maniacale di dare un senso ed una spiegazione ai fatti sconvolgenti di cui é stata testimone. Si tratta di un personaggio alquanto complesso: cerebrale e appassionato, determinato e fragile, fortemente responsabile ma dalla fantasia eccitabilissima, sempre velato dal sospetto di mitomania. Una figura modernissima, dedita con caparbietà e coraggio alla ricerca della verità e alla comprensione profonda dell’esistenza. Una donna che, aprendoci senza riserva la propria anima, ci parla in fondo di un disperato bisogno d’amore e ci rivela come, pur di ottenerlo, sia disposta ad affrontare ciò che di più spaventoso v’é nell’animo umano. Scheda